La visione di alcune foto della nuova disposizione dei banchi in chiesa (quella effettuata una domenica di fine settembre) ha introdotto l’incontro di giovedì 15 suscitando reazioni ampiamente positive da parte della maggioranza, con qualche perplessità di alcuni.

Questa introduzione aveva lo scopo di approfondire una domanda postaci dal concilio: cosa possiamo essere come comunità? Il concilio ci ha offerto un nuovo orizzonte, in particolare la Lumen gentium con l’espressione “popolo di Dio” ha risposto alla domanda “chi sono i laici”? Non più quelli che non hanno alcuna funzione nella chiesa, ma esattamente il contrario, anche solo per il fatto di essere la stragrande maggioranza (basti pensare che i catechisti laici sono in Italia circa 300.000 persone).

Siamo popolo di Dio, cioè ognuno di noi ha una soggettività nella chiesa e quindi una responsabilità non delegata dal prete. Occorre entrare in questa logica che possiamo esprimere nello slogan: “non i pochi che fanno tutto, ma tutti che fanno qualcosa”.

Il fare qualcosa poi non deve essere identificato con qualcosa di concreto, un servizio visibile (catechista, animatore, operatore della caritas, ecc…): anche solo l’esserci (per esempio nella preghiera, nelle celebrazioni forti) è un segno di corresponsabilità.

L’eredità del concilio tuttavia è un’eredità incompiuta: il cammino della corresponsabilità è un’elaborazione molto lunga, che richiede di entrare in una logica di formazione continua. Una formazione adeguata fa crescere anche il senso della comunità: non sono solo, ma cammino insieme agli altri e a che i servizi pastorali vanno vissuti con questa logica di comunione, e non da “navigatori solitari”.

In quest’ottica va considerato, quindi, il rinnovamento del consiglio pastorale. Quest’anno la volontà è quella di eleggere un rappresentante per ogni gruppo significativo della parrocchia (commissione liturgica, iniziazione cristiana, animatori, caritas, famiglie giovani, circolo dell’amicizia, commissione comunicazione, azione cattolica) non con l’idea di avere una sorta di difensore dei diritti del gruppo, bensì nella logica di svolgere il proprio servizio in piena comunione con gli altri. Il dibattito che ne è seguito ha fatto emergere le difficoltà della nostra comunità a capire cosa sia e che funzioni abbia il consiglio pastorale: è ancora un oggetto misterioso non ben identificato, ma che anch’esso è frutto delle intuizioni del concilio; un organo di confronto, di sostegno e di condivisione della vita parrocchiale.

A maggior ragione quest’anno assume un’importanza particolare in quanto, assieme al consiglio degli affari economici, deve affrontare la gestione di tutte le spese dei lavori di ristrutturazione. Ma su questo si veda il riquadro in altra parte del foglio.

A proposito dei due (e forse tre) prestiti infruttiferi, don Ivo ha precisato che ha ritenuto opportuno accettarli, pur essendo offerte fatte più per amicizia nei suoi confronti che direttamente alla parrocchia per due sostanziali motivi. Oltre che parroco, infatti, le sue altre attività (ufficio catechistico, docente presso la Facoltà Teologica del Triveneto) non sono un surplus, bensì compiti pastorali ugualmente importanti a quello di parroco di San Pio X. Inoltre le offerte ricevute sono la testimonianza della stima verso la nostra comunità, il suo modo di vivere e di celebrare.

Per questo motivo questi prestiti non sono una “magia”, ma piuttosto un affidamento di responsabilità. Ricevere un dono significa accogliere la proposta di un legame, che impegna e che responsabilizza. E questo straordinario aiuto ci deve indurre a sentirci più responsabili per un dono che forse va oltre la stessa permanenza di don Ivo nella nostra comunità.

Stefano Collorafi