Parte 2 della riflessione di Serena Noceti

L’  antico assioma di Tertulliano (padre della Chiesa, IIIII sec. d.C.) «Cristiani non si nasce, ma si diventa» esprime con sinteticità la consapevolezza, ormai acquisita da  molti, intorno alla quale è possibile e necessario  ripensare i  cammini di iniziazione cristiana, di adulti e bambini.[…] Nel  Nuovo Testamento, nei testi patristici, nei rituali, nella prassi  pastorale dei primi quattro secoli è ampiamente attestato il processo che porta a diventare cristiani: prima di tutto c’è l’annuncio (kerygma) incentrato sulla risurrezione del Crocifisso e la sua signoria; chi accetta tale annuncio e matura la sua adesione  e consapevolezza esplicita, fa la sua professione di fede in Gesù,  riceve il battesimo, l’unzione crismale, partecipa alla Cena del  Signore. Si diviene così a un tempo partecipi della comunione  con il Dio trinitario in Cristo e partecipi della comunione ecclesiale. La “forma tipica” dell’iniziazione cristiana, allora come  oggi (come attesta il Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti), è quindi quella dell’adulto, che nella sua coscienza è interpellato dal vangelo e con libertà accetta questa nuova identità in  Cristo e assume un conseguente stile di vita, che fa un percorso  di formazione adeguato (catecumenato) della durata  di alcuni  anni, riceve nella notte di Pasqua dal vescovo i sacramenti di  iniziazione cristiana, ne sperimenta e comprende la forza salvifica nella vita (mistagogia). Nel contesto attuale di chiesa, in particolare in Italia, non è però questa la forma più diffusa di iniziazione; nella maggior parte dei casi il battesimo neonatale –  che di per sé è una “forma non tipica”, in fondo “anomala” –  è diventato la “forma normale”, tanto che nella mentalità  comune questa risulta quasi l’unica forma di iniziazione alla  fede cristiana conosciuta e si guarda con sospetto  chi non  battezza i figli da neonati. Il pedobattesimo rimane a oggi nella  chiesa italiana, nonostante dibattiti innumerevoli, la forma più  diffusa e sentita, espressione di un elemento di autocoscienza di  chiesa forte (negli operatori, negli stessi genitori). Se il battesimo dei neonati comunque dice alla chiesa la gratuità radicale  del dono di Dio e l’essere “popolo di Dio”,  chiesa mai elitaria,  non composta di santi, né di perfetti, né di illuminati, ma di persone comuni alla ricerca della verità, tuttavia l’obiettivo è in  ogni caso una vita cristiana adulta, segnata dalla professione di  fede e dalla celebrazione attiva dell’eucaristia, che può partire  sia dal cammino di iniziazione cristiana dell’adulto  (catecumenato, sacramenti di iniziazione cristiana, mistagogia),  sia dal bambino battezzato, anche se con logiche diverse. […]  L’identità cristiana è un’identità battesimale: alla radice del nostro essere cristiani c’è questo dono ricevuto da Dio nella chiesa  e, allo stesso tempo, tutta la nostra vita di cristiani sta sotto la  logica di un’appropriazione progressiva di questo dono che segna la nostra identità, il nostro essere ed esistere profondo. In questa prospettiva possiamo re-imparare a comprendere il battesimo in un’ottica dinamica, non  semplicemente come atto puntuale e concluso in se  stesso nel momento celebrativo-rituale, ma guardando all’identità battesimale che scaturisce dal  dono sacramentale, dal e nel grembo della chiesa.  Oggi il battesimo (neonatale) è “punto di inizio”  a cui segue la formazione catechistica (in famiglia e  in parrocchia) collegata soprattutto alla partecipazione alla vita sacramentale; per molti tale prassi ha  veicolato l’idea che “si nasce e si diventa cristiani”  e non che “cristiani non si nasce, ma si diventa”. In  realtà – anche se è cambiata la successione degli  elementi del percorso formativo alla vita cristiana –  gli elementi sono e rimangono gli stessi: deve esserci una fase di annuncio, un’esperienza iniziale  della forza trasformativa del vangelo, deve darsi un  cammino integrale e progressivo nella fede cristiana, che nel catecumenato come per i ragazzi deve  includere catechesi, celebrazione, vita di comunità,  servizio), deve portare a un certo a una scelta di  fede e a una professione di fede, deve prevedere il completamento dei sacramenti di iniziazione cristiana (cresima e prima partecipazione in pienezza  alla celebrazione eucaristica), deve concludersi con  una fase di mistagogia. Non va sottovalutato inoltre il fatto che il posticipare la cresima, dopo la prima comunione, e celebrare per la prima volta  il sacramento della riconciliazione prima dell’- eucaristia “altera” la successione teologica dei  sacramenti e impedisce a molti di cogliere la logica unitaria e progressiva che correla i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana.   Una migliore conoscenza della storia e dell’evoluzione della prassi catechistica e liturgica può aiutarci a comprendere in modo nuovo la teologia dei  sacramenti e può permettere una articolazione ulteriore, adeguata ai tempi, ma corretta teologicamente, dei percorsi di iniziazione cristiana. Ci aiuta ,  infatti, a non confondere “iniziazione cristiana”  con “sacramenti di iniziazione cristiana”: essi  sono la parte culminante del cammino, dono di  grazia che sorpassa qualsiasi preparazione e  cammino di formazione personale, ma non possono essere pensati come il tutto, non possono  sostituire altri momenti del percorso. Inoltre,  appare evidente che la iniziazione cristiana è  alla  vita cristiana, attraverso  i sacramenti e non può  essere ridotta a “iniziazione  ai sacramenti”, come  di fatto è avvenuto per molti secoli. Infine, la dinamica del Rito di Iniziazione degli adulti mostra che  c’è un ordine “teologico” dei sacramenti e una progressione innegabile interna alla iniziazione: l’insieme del cammino e la successione dei sacramenti  tendono  verso l’eucaristia, sacramento che verrai  poi di nuovo celebrato ogni settimana, nell’eucaristia – vero vertice dell’iniziazione – il cammino  iniziatico si apre alla vita comune e quotidiana della fede.

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