Vangelo  Gv 15, 1-8

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

L’  immagine della vite e dei tralci ci è  molto familiare: è uno dei modi più  belli con cui Gesù nel Vangelo descrive il suo  legame con noi. Se i Profeti avevano sempre  parlato della vigna pensando al popolo di Israele, Gesù afferma che in realtà l’unica vera radice da cui è possibile prendere una linfa buona è  la sua vita; per questo chiede con insistenza ai  suoi discepoli di rimanere in lui.  Ma cosa significa per noi? Tante volte nella  nostra vita facciamo l’esperienza del  ‘rimanere’: il nostro cuore è pieno di presenze,  di parole, di persone che silenziosamente dialogano dentro di noi con il loro ricordo e con il  loro affetto. Quando noi compiamo delle scelte  abbiamo davanti il volto delle persone che amiamo, ci chiediamo cosa possano pensare loro,  quali consigli ci darebbero; oppure, quando  compiamo scelte sbagliate, il ricordo delle persone amate diventa una spina, qualcosa che ci  giudica e che noi cerchiamo di tacitare, perché  sappiamo che stiamo sbagliando. In fondo, nelle  cose che facciamo non siamo mai soli, ma con  noi ci sono sempre anche le persone che amiamo; e quando facciamo scelte completamente  sbagliate, allora quello è il segno che il nostro  cuore è vuoto, che ogni opzione è possibile perché non c’è nessuno oltre a noi; oppure è segno  che il nostro cuore è pieno di rancore, del male  che un altro ci ha fatto e che non riusciamo a  sanare in nessun modo. Così è anche nella fede.  Il Vangelo, allora, ci chiede di fare ogni  giorno l’esercizio del ricordo, tenendo nel cuore  la sua Parola, anche quando ci confronta o ci  scuote, e facendo le nostre scelte a partire dall’- amore che abbiamo ricevuto da Lui e dalle persone che ci hanno voluto bene. Questa è la fedeltà, e non si tratta solo di un’esperienza personale: anche come Chiesa siamo chiamati a rimanere in Lui, e lo facciamo non quando ripetiamo in  modo pedissequo le cose o le forme del passato,  ma quando abbiamo la forza, tenendo desto nel  cuore il dinamismo di amore che abbiamo ricevuto, di compiere scelte adeguate al presente. Se  faremo così, assicura il Vangelo, il nostro frutto  sarà buono e abbondante, e impareremo sempre  più ad essere discepoli del Signore.

don Raffaele

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