Già nei mesi scorsi attraverso SPX News  ho proposto una riflessione intitolata “I  poveri alla porta della Chiesa”. Sento la necessità di tornare sull’argomento per la presenza  assidua e molto insistente di diverse persone  davanti all’ingresso della nostra chiesa: spesso  un uomo di colore, che ormai conosciamo da  moltissimo tempo, a volte una seconda persona,  sempre africana, e non di rado una ragazza rumena e altre due ragazze più giovani e molto  «determinate». Per parte mia ritengo che non si  debbano dare monete a queste persone. Le donne sono certamente ragazze sfruttate dai loro  padroni: per due di loro potete anche rendervi  conto che il padrone che le osserva da lontano  per vedere se «lavorano bene» e la loro sollecitudine a venirvi incontro è dovuta al fatto che  sono appunto controllate. Anche la terza è portata dal suo «datore di lavoro» che come nel  caso delle altre due, ritira alla fine tutto il guadagno.   Diverso il discorso per i due uomini che sono  «lavoratori autonomi», ma anche loro hanno un  ottimo profitto a termine della mattina e nella  settimana «lavorano» altrove. Noi cristiani dobbiamo lasciarci interpellare dalla povertà sia di  chi viene da terre lontane e da sempre sfruttate,  sia di chi, anche italiano, cade in situazione di  povertà a causa della crisi. Dobbiamo lasciarci  interpellare e perciò assumere una decisione di  come condividiamo quello che abbiamo con i  poveri; non come condividiamo il «di più», ma  anche il necessario, perché condividere l’eccedenza che non ci serve non è fare la carità. Non  basta che ci alleggeriamo la coscienza dando  una monetina ad un povero (vero o falso) alla  porta della chiesa. Anzi, ritengo che darla perpetui una situazione di sfruttamento che va invece ostacolata. E possiamo ostacolarla solo  non lasciandoci convincere a dare la nostra monetina. E decidendo, invece, come offrire qualcosa di veramente nostro in modo più pensato,  più progettuale, partecipando con il nostro contributo ad una azione ecclesiale o non ecclesiale  che sia sensata e continua. E’ chiaro che ciascuno di noi si comporta secondo coscienza e secondo il proprio sentire: io desidero, proprio come parroco  che ha più volte avuto occasione di mettersi in relazione con queste persone, invitarvi a riflettere sull’abitudine di offrire la moneta e di invitarvi invece a  riflettere se non ci sia un altro modo per offrire  il  vostro contributo. Il fatto stesso che in alcune domeniche vi siano fino a 5 persone davanti alla porta della chiesa dovrebbe interrogarci: davvero sappiamo  perché e a chi diamo questi soldi? Non c’è un modo  più pensato e meglio finalizzato di fare la carità? Il  Centro di Ascolto e l’associazione San Vincenzo  non sono in parrocchia le nostre ordinarie modalità di prenderci cura non solo di dare una moneta, ma di  assumere nella nostra vita la storia dei poveri che vivono con noi? E non possiamo inventare altri modi per vivere una vera condivisione con i poveri, superando una visione della carità troppo istintiva e assistenziale? I poveri, quelli veri, non sono alla porta  della Chiesa. O meglio: questi, alla porta della chiesa hanno un’altra povertà, a cui non dovremmo rispondere con la nostra moneta.

don Ivo

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