Molti cristiani, portando avanti un’antica tradizione, il giorno di Pasqua si salutano così: “Il  Signore è risorto”, a cui si risponde “E’ veramente risorto!”. Il fatto della Risurrezione di Gesù è talmente sconvolgente, ha tanto dell’incredibile, che si sente il bisogno  di rimarcarlo con quel “veramente”. Mi verrebbe da dire:  nulla di più necessario di quel “veramente”; la risurrezione del Signore non è una semplice rianimazione, è la  risurrezione di un morto! E questo ha dell’inaudito non  solo come notizia ma anche come ricaduta sulla vita e  sulla storia. La Pasqua è la vittoria della vita sulla morte.  Se Cristo è risorto vuol dire che il Padre ha gradito il  suo modo di vivere, lo ha trovato conforme al suo disegno originario sull’uomo. La sua vittoria sulla morte è il  segno della verità e della bontà della sua vita. Gesù è  passato in mezzo agli uomini “facendo del bene”. Non è  quindi rimasto indifferente davanti alle sofferenze degli  altri; non ha additato la speranza futura dimenticando la  sofferenza presente; piuttosto ha combattuto seriamente  il male del mondo, il male fisico e morale. E tuttavia  quando si è trovato di fronte alla scelta suprema della  sua vita ha saputo accettare la sofferenza e la morte pur  di rimanere fedele al progetto del Padre. E’ vissuto amando gli uomini con un cuore libero ed è morto obbedendo al Padre con un abbandono fiducioso. Per questo  il Padre lo ha premiato con la risurrezione.  L’apostolo Paolo, nella Prima Lettera ai Corinti, scrive: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che  sono morti” (1 Cor 15, 20). La risurrezione di Gesù non  è privilegio che riguarda lui solo, ma evento che tocca  tutta l’umanità; nessuno è escluso.  La morte rivela la sua potenza in tutti gli uomini, destando paura e angoscia. Essa è attiva e presente non solo nel momento dello spegnimento della vita fisica  del  corpo umano, ma anche prima, in tutte quelle forme che  attentano alla pienezza delle relazioni e della vita, come  la solitudine, la mancanza di affetto, la malattia, l’incertezza del posto di lavoro, la povertà materiale e di senso… Nel cuore dell’uomo è presente però non solo la paura della morte, ma anche la spinta al bene, al dono di  sé per amore nella molteplicità delle forme in cui questo  si manifesta. Quale sarà il suo destino? Prevarrà la paura  o la speranza? E tutto il bene costruito che fine farà?  Gli uomini attendono, cercano a fatica, e a volte per  cammini sbagliati, la buona notizia della vita più forte  della morte, dell’amore più forte dell’odio e della violenza. Cristo, risorto e vivente per sempre, è la risposta vera  al senso della vita. Una risposta che passa attraverso la  testimonianza di uomini e donne, che portano anche oggi nella compagnia degli uomini quella vita nuova che  l’incontro con il Vivente può dare. La fede nella risurrezione non è fuga dal mondo, ma l’immersione senza  paura nel cammino dell’uomo, portando nel cuore il senso dell’eternità, che ci fa vivere, spendendoci per la costruzione della civiltà della verità e dell’amore,  con lo  sguardo rivolto alla meta che il Risorto ha inaugurato per  tutti.

mons Antonio Lanfranchi

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